Grazia: alcuni testi
Testi laboratorio scrittura2023-24
Autrice: Grazia Berardinelli
La goccia
La goccia scava la pietra, dicevano i latini, una semplice goccia, minuta, insistente, costante ha modificato la dura roccia, come a dire chi la dura la vince.
L’antico proverbio era alla base della pedagogia dei nostri nonni che credevano che pazienza e perseveranza avrebbero portato al benessere e al successo.
Intere generazioni ci hanno creduto per secoli. Anch’io ci ho creduto e per tutta la mia vita ho assunto comportamenti mansueti come un agnellino. Nel vissuto quotidiano siamo sempre esposti a prove e sfide che ci aiutano a crescere, ma spesso è l’incontro con gli altri o nuove situazioni che in qualche modo e per motivazioni diverse, frena o mette in crisi i nostri buoni propositi e allora la crisi è inevitabile.
Io ho sempre creduto che adattarsi all’ambiente, avvicinarsi agli altri col sorriso, porsi in ascolto prima di parlare, usare modi gentili fossero segno di rispetto e civiltà e da buona insegnante l’ho comunicato e promosso ai miei alunni, ai figli ai nipoti e a tutti coloro con cui ho avuto modo e piacere di avvicinare.
La mia formazione ha radici molisane in uno dei tanti borghi posti sui cucuzzoli delle colline appenniniche, un nucleo fortemente legato alla tradizione contadina e cristiana dove la goccia ha un valore profondo di unicità e universalità, ciascuno è goccia che tende verso l’0ceano nel quale confluiscono tutte le altre gocce, fondendosi insieme.
Da qualche anno vivo a Torino, dopo quaranta in un paese di campagna, a pochi km da qui, scelto per la tranquillità del luogo, lo stile di vita a misura d’uomo. La città è frenetica, anonima, sporca, ma comoda e accessibile per pigri e pensionati come me, tutto è a portata di mano, negozi, mezzi di trasporto, ospedale, musei, chiese, centri culturali…
Nel condominio tra spazi ridotti e regolamenti ho perso la mia libertà e il mio silenzio notturno. Ebbene sì! Allo spegnere del termosifone, non so per quale magia nei tubi, per calo di pressione nella caldaia, inizia un borbottio di acqua che degenera in stillicidio di gocce prima ravvicinate poi ritmate, infine un tonfo amplificato di una sola goccia che dà vita all’insonnia.
Oggi quella goccia sta riempiendo il vaso, una semplice goccia, minuta, insistente, costante, ha raggiunto il bordo, starà traboccando? E perché?
Opercolo
L ‘opercolo è una struttura protettiva e rigida che ricopre una cavità di alcuni organismi vegetali o animali a guisa di coperchio.
Pensiamo ad esempio al rivestimento ceroso nei favi delle api, alle ossa opercolari che ricoprono le arcate o fessure branchiali dei pesci, alla formazione circolare calcificata che protegge un mollusco nella conchiglia, ma anche la capsula di gelatina rigida contenente polveri o liquidi medicinali e cosi via.
Io vorrei soffermarmi sull’opercolo della ciammaruca, lumaca o chiocciola che dir si voglia, con tanto di casetta a seguito.
Ebbene il suo opercolo è una vera e propria porta calcarea ermetica, che difende il mollusco dal freddo durante il lungo letargo invernale, talmente consistente da farla sembrare morta. Anche d’estate la lumaca crea l’opercolo, ma di consistenza morbida, deve infatti uscire più spesso per mangiare, approfittando dell’umidità notturna o dopo i piovaschi, perché ha più facilità di movimento. Vive infatti in luoghi ombrati posti a nord, tra mucchi di fascine decomposte o negli anfratti dei muretti.
Gli orti sono l’habitat preferiti, ne sanno qualcosa i coltivatori, soprattutto di insalata, costine, basilico, cavoli, che devono ricorrere ad antidoti tossici o più naturali come il sale o la birra che le ubriaca.
Fin da piccola mi schieravo a favore della lumaca per il suo elegante procedere sinuoso e prudente che la portava al successo rispetto ad animali presuntuosi e arroganti. La sua lentezza proverbiale ha ispirato scrittori di favole e fiabe nelle varie epoche. Nella lumaca ribelle di Sepulveda, invece non si accetta la naturale lentezza, la sua curiosità è forte bisogno di superamento dei propri limiti e lotta all’isolamento odierno.
Ciò che mi affascina della ciammaruca è questo suo moto vitale repentino di presenza assenza, come a dire ho deciso cosi, ma anche sono viva, sono morta , è così se vi pare…Tanta sensibilità e fascinazione per la lumaca, eppure devo ammettere che mi piacciono anche in cucina, sono un ottimo secondo a tavola. Accadeva anche da piccola. Con un gruppetto di amici andavamo a caccia di ciammaruche nel mio giardino o lungo un muretto di confine con zia Maria, vecchia merciaia di una piccola bottega lungo la scalinata Santa Nicola di Trivento, mio paese natio. A volte, quando l’percolo era morbido, le mettevamo sotto il getto dell’acqua come a simular la pioggia in attesa di vederle sbucare dal guscio, altre volte cercavamo di stimolarle cantando una vecchia filastrocca ‘ Caccia caccia corna l’ ha ditt zi Andogn, zì Andogn ‘na cavuta, caccia corna ca siè chrnuta?’
Le lumache raccolte dovevano poi essere poste sotto uno scola pasta capovolto, tenuto fermo da un peso, ciò in quanto, dopo il risveglio tutte insieme con la forza di un leone sollevavano la trappola. E come sempre accadeva le perdevamo tutte da inesperti e addio cenetta. Il miracolo dell’opercolo era avvenuto come la resurrezione.
Relazioni aride
Svegliarsi con una sensazione di vuoto, i pensieri e le preoccupazioni che si accavallano, una tristezza diffusa in ciò che si fa, stanno divorando la nostra quotidianità, portandoci all’isolamento. Non sarà invece che ci siamo allontanati per scelta dalla realtà che ci circonda? Una lamentatio diffusa ha preso il sopravvento e nessuno ne conosce la causa tantomeno il rimedio, come se fosse facile! Si prova a fare un’analisi sulla base delle proprie esperienze e quelle altrui nel contesto del contemporaneo. Il passato è a tutti ben noto, il presente non lo capiamo, lo rincorriamo, addirittura ci spaventa, il futuro è la vera incognita.
La TV è un susseguirsi di cronaca nera omicidi, incidenti, dirottamenti, annegamenti, cataclismi, guerre sempre più vicine, fatti pesanti da digerire, che passano sotto i nostri occhi proprio all’ora di pranzo, insieme ad una serie di promozioni martellanti e intrattenimenti discutibili tra rubriche di cucina e quiz... Aprire la buca della lettera è come inoltrarsi in una selva oscura, depliants pubblicitari la fanno da padrona, plichi angoscianti di esose bollette e multe, rare le cartoline souvenir, figuriamoci una lettera. E chi le spedisce più, non c’è tempo per la scrittura, la riflessione. Che peccato! La cara e vecchia lettera spesso, riletta anche a distanza di tempo ci dava la possibilità di mantenere i legami con gli altri e in molti casi ci rassicurava, ci aiutava a conoscerci. Qualcuno, soprattutto i più giovani, potrebbe obiettare che le nuove tecnologie hanno reso la comunicazione più veloce ed efficace. Sms e whatsapp sono infatti messaggi immediati, ma quanti strafalcioni e quante incomprensioni! E allora? Si è soddisfatti di questa modalità comunicativa? Ho qualche dubbio. A mio avviso sintesi e simboli hanno prodotto una comunicazione arida, tanti amici virtuali, ma in concreto quanti di loro ci sono vicini nel quotidiano, ci invitano per una passeggiata, un thè, un caffè, figuriamoci a cena! E quanti nuovi luoghi comuni? La distanza, reale o fittizia che sia, la fa da padrona ” se abitassimo vicini ti darei una mano, ti verrei a trovare, mi manca il tempo...” Troppo impegno e troppa strada da fare, quindi nulla di fatto e tira a campà. In compenso tutti sanno, tutti vedono nella finestra virtuale e nessuno si muove, incollati alla cadrega, come dicono in Piemonte, meglio alla seggia in Molise, per disinteresse e pigrizia Si è riprodotto lo stesso stile dello spiare dietro le persiane, da semplici curiosi anonimi giudicanti. Così telefonata e messaggino sedano l'ansia dell' incomunicabilità in presenza e risolvono in fretta il rapporto di amicizia.
Razionalizzare, colpevolizzare, giudicare è più semplice di un'autocritica utile per tentare cambiamenti, è venuta a mancare soprattutto l’empatia e l’assunzione di responsabilità. Sarebbe auspicabile una revisione del proprio stile di vita, piuttosto che nascondersi dietro i formali “se” e “ma” inconcludente.
Si potrebbe tentare di rivedere il modo di relazionarci con gli altri, ad esempio operando una seria e attenta selezione della fittizia pletora di pseudo amici, salvaguardando quelli più vicini al nostro modo di pensare e agire, eliminando così la zavorra anonima, rumorosa, caotica e soprattutto arida. Cosa ce ne facciamo in effetti dei numeri virtuali che fanno solo volume e e fumo? Oggi più che mai c'è bisogno di certezze e non dobbiamo rischiare di disperdere energia e tempo a vuoto, rincorrendo il presenzialismo. Essere amici a parole non ha senso, semmai rimaniamo solo conoscenti e onestamente ci rispettiamo. Oggi più che mai bisogna tornare a costruire con impegno costante una umanità civile, motivata da interventi a favore della crescita personale e collettiva. La società consumistica invece ha posto al centro il ciclo produzione-consumo, inneggiando ai valori dell'individualismo narcisistico del tocca e fuggi con tutti superficiale e inconcludente. Le immagini mentali che ha prodotto tengono conto solo e soltanto di pensieri materialistici” ho tutto, sono felice, ho successo, sono alla moda, posseggo i prodotti reclamizzati, vivo situazioni eccezionali, sono un vipsss...” Direi pantagruelico, onnivoro, onnisciente, onnipresente Omnis omne. Sentirsi inadeguati invece genera stress, invidia, aggressività, isolamento, malessere generalizzato, angoscia.
Il guru e leader umanitario Sri Sri Ravi Shankar, candidato al Premio Nobel per la pace nel 2005 e 2007, giunto a Roma nel 2014 ha parlato della necessità di acquisire fiducia in sé, di potenziare l’amore verso gli altri e la natura di cambiamento sostenibile e di riaffermare i valori umani. Interessante ciò che ha sottolineato: ”se cammini nel fango è normale che le tue scarpe siano sporche, l'importante è sapere come togliere il fango”. Hai detto niente!
La questua
La questua è la raccolta di oblazioni che si effettua durante la celebrazione del rito liturgico della Santa Messa a scopo di culto e carità cristiana.
La questua nel Medioevo era effettuata dagli ordini monastici mendicanti che chiedevano l’elemosina, soprattutto il cibo per il proprio sostentamento e a favore dei poveri. Chi donava si assicurava evangelizzazione e protezione.
Nel mondo antico dai greci ai romani era d’uso il rito della moneta da custodire sotto la lingua del defunto come obolo da pagare a Caronte il traghettatore di anime nell’oltretomba.
Per la tradizione cristiana durante la messa al momento dell’offertorio il prete offre i doni del pane e del vino quindi invita il fedele a elargire i propri doni.
Da piccola mi incuriosiva il sacrestano che passava di banco in banco con un sacchettino di stoffa, sostenuto da un bastone, a chiedere soldi. Il suo procedere severo con lo suo sguardo di sfida creava un certo scompiglio e imbarazzo tra gli astanti, soprattutto tra gli impreparati che dovevano ancora decidere sul quanto avrebbero voluto offrire, in alcuni casi sul dove reperirli. Tutto intorno era un tintinnio di monete dalle 5 alle 100 lire o fruscio di carte dalle 500 alle mille lire per chi se lo poteva permettere.
Nella mia parrocchia, la chiesetta di Santa Nicola nel cuore di Trivento, chi girava tra i banchi era Lucianetta, una giovane adolescente di bassa statura riconoscibile dall’andatura dondolante. Giocare con lei, sebbene fossi più piccola era divertentissimo, era super comica, aveva una risata contagiosa quanto perniciosa per lei, tanto perniciosa che degenerava, se la faceva letteralmente addosso, me ne accorgevo dalla pozza d’acqua che scorreva sotto ai suoi piedi, e giù risate collettive. Lucianetta per evitare ogni rischio, quando faceva la questua, non guardava in faccia nessuno, forse questo era il motivo della sua andatura. La domenica mattina alla messa delle 9 il rischio per Lucianetta era minore, c’era tutto il quartiere, per fortuna più adulti che bambini, che invece andavano a quella cantata delle 11 più invitante per via dei dolci che il parroco elargiva loro per accattivarseli.
Intorno ai 15 anni Lucianetta cominciò a stancarsi, si vergognava di fare la questua, la sua andatura coatta ora ancheggiante aveva più lo stile di una modella. Inoltre la paura di poter ridere incontrando uno sguardo amico le creava ansia. Fu cosi che don Ennio, il vicario del vescovo, parroco arcigno di Santa Nicola dovette iniziare a cercare un sostituto e chi scelse? Proprio me. Nonostante la mia risaputa timidezza mi aveva tradito la determinazione e sfrontatezza, a suo dire, allorchè andavo a reclamare la restituzione del pallone che, immancabilmente, giocando nella vicina piazzetta con gli amici, finiva nel giardino della chiesetta protetta da un’enorme cancellata di ferro con le punte a freccia che noi bambini non riuscivamo a scavalcare. Per riavere il pallone don Ennio ci ricattava con lavori di giardinaggio e servigi vari per la chiesa. Nonostante tutto ci premiava con 10 lire, era poco, ma ci potevamo comprare da zj Ming10 biscotti sfusi a forma di animali da scegliere in un enorme cassetto di legno. Cosi mi ritrovai a fare la questuante e sull’esempio di Lucianetta passavo tra i banchi della chiesetta, tenendo lo sguardo basso, al massimo di sbieco per orientarmi nei movimenti, sfuggendo gli sguardi. Col tempo imparai a riconoscere il valore delle oblazioni dal tintinnio delle monete o dal semplice fruscio delle banconote e conoscere la magnanimità dei fedeli. A fine raccolta il peso del sacchetto mi dava gioia al pensiero che il burbero don Ennio avrebbe avuto abbastanza denaro per le spese parrocchiali e soprattutto per aiutare i poveri. A quei tempi nei paesi la povertà era poco evidente, mi chiedevo sempre dove fossero tutti i poveri di cui parlava nelle omelia, forse alludeva ad altro tipo di povertà. Ricordo però che mio nonno paterno, proprietario terriero, mi mandava ogni tanto a portare olio, latte, uova e pane ad alcuni vecchietti che vivevano in case brutte e fredde. Nei paesi di allora la carità e l’aiuto reciproco erano valori connaturati nell’intimo di ciascuno e in molti la facevano anche perché timorati di Dio.
Oggi volendo perorare cause no profit si rischia di essere accusati di fare questua con accezione negativa.