Giuseppe Lettera B2: Bhubaneswar

 Data: 09-05-2024

Autore: Giuseppe BAMBACE

CORSO DI SCRITTURA – LETTERA B2

BHUBANESWAR

La notizia della prima destinazione assegnatami, non appena assunta la Direzione Cantieri nel 1998 mi travolse totalmente in un turbine di emozioni contrastanti, combattuto tra timore da un lato, curiosità intellettuale e spirituale dall’altro. Ripresi fiato prima di ripetere in un esile soffio il nome del luogo: India, stato dell’Orissa, città di Bhubaneswar. Ci arrivai dopo 2 giorni di viaggio, con uno scalo in Europa, poi il salto verso il continente indiano con arrivo a MUMBAI, dove trascorsi la notte, in attesa del volo interno il giorno successivo.

Superato il mite inverno, nel mese di aprile le temperature s’impennano oltre i 35°C e l’aria si carica di umidità, un’anticipazione della stagione dei monsoni che sarebbe giunta a maggio.

All’imbrunire dal finestrino dell’aereo il terreno e le case si distinguevano a stento, come sospese dentro nuvole di vapore rossastro. All’uscita dell’aeroporto internazionale, il primo impatto fu come un pugno in faccia, nel contrasto stridente tra la folla dai tratti somatici diversissimi, brulicante verso le auto in attesa, caricate a dismisura di valigie, sacchi, ceste e la moltitudine di persone indigenti, che bivaccavano nelle aiuole polverose nei pressi del terminal o sotto il cavalcavia della superstrada che portava in città, al riparo di un telo sostenuto da 4 esili pali conficcati nel terreno, vestiti di un modesto perizoma o di un sari molto semplice, il popolo di bambini vestiti di indumenti essenziali. Negli sguardi potevo cogliere come un urlo silenzioso, un vuoto a perdere, eppure fiero di dignità. Il nostro agente indiano aveva sottoscritto un contratto di lungo termine con una nota catena alberghiera statunitense. Oltrepassata la soglia dell’hotel, mi è sembrato di essere catapultato in una dimensione irreale, affollata di personale in livrea che senza sosta puliva pavimenti, lucidava ottoni, o era semplicemente addetta all’apertura di una porta a vetri.

Il mattino successivo eccoci finalmente a Bhubaneswar, capitale dello stato di Orissa, distesa lungo il corso del fiume Mahanadi, uno dei tre fiumi che forma un’enorme delta alluvionale verso il golfo del Bengala. Il clima è ancora più umido della costa opposta di Mumbai, ma è soggetto a siccità e cicloni. Proprio recentemente la regione è stata colpita da un ciclone di potenza mai misurata prima.

Il nostro albergo un po’ datato ne portava le cicatrici, con le pareti impregnate di muffe che restituivano odori intensi. All’interno delle camere gli steli di incenso diffondevano aromi di sandalo e Palo Santo, ma le lenzuola rimanevano umide, come gli abiti riposti nell’armadio a muro, mentre ogni scarico era riempito di palline di naftalina per prevenire ospiti indesiderati. Una breve passeggiata nel giardino lussureggiante che circondava la struttura donava serenità, nella stagione primaverile ibiscus, giacinti e pervinche riempivano l’animo di colori e di profumi. Il ristorante sprigionava una sinfonia di sapori che rimbalzavano tra le narici e le papille gustative, speziati di zafferano e curry, piccanti di zenzero e peperoncino, esotici di cannella e cardamomo. La fabbrica dista 120 km, in una località che si chiama Angul, nome che ha provocato facili ironie di colleghi e amici. Lungo il tragitto di quasi 3 ore la pianura ci ha regalato fotografie di vaste risaie, ma inaspettatamente anche di piantagioni di juta, canna da zucchero, palme da cocco. Superiamo villaggi con pochi lampioni lungo la strada principale, sostiamo brevemente di fronte a piccoli negozi ricavati nella stanza di ingresso di modeste case di fango, alternati a taverne improvvisate che offrono riso con verdure contenute in un unico vassoio disposto al centro di un tavolo basso, attorno a cui commensali seduti a gambe incrociate si servivano con le mani.

Raggiungiamo la zona industriale, la vicinanza di miniere di bauxite ha reso economicamente redditizio realizzare lo stabilimento di alluminio in quell’area. Più a nord altre miniere ricche di ferro, carbone, manganese hanno favorito lo sviluppo dell’industria siderurgica e metallurgica. Per una popolazione di età media di 26 anni ciò costituiva una grande opportunità professionale ed economica. Ma in Orissa il tasso di analfabetismo è ancora alto, i vincoli imposti dalla suddivisione rigida in caste non risparmiano nemmeno le persone con alto grado di istruzione. Uniti alla povertà che affligge ancora larghi strati di popolazione, questi fattori provocano diseguaglianza economica e disparità sociale, fino allo sfruttamento delle caste inferiori.

Ricordo che per gettare le fondazioni delle macchine si impiegavano donne vestite col sari e infradito che procedevano in fila, trasportando sulla testa ceste piene di cemento uscito dalla betoniera, per svuotarle all’interno dei casseri per l’armatura delle fondazioni. Niente servizi igienici, né cibo o bevande distribuiti da parte dei datori di lavoro. Eppure, malgrado 22 lingue riconosciute ufficialmente appaiano divisive, in tutte le etnie rimane fortemente radicato un mantra squisitamente orientale che le accomuna senza distinzioni, la vasta coscienza del tempo, È shakti, la potenza, l’energia creatrice, non nell’accezione occidentale di vite individuali, ma di Vita nella sua pienezza universale, quindi misurata in unità paragonabili ai nostri periodi astronomici o geologici. In termini concreti, l’uomo d’affari occidentale, cartesiano, organizzatore ansioso del proprio tempo presente per esercitare il controllo paranoico sul futuro, si trova impreparato, smarrito di fronte ad un concetto astratto, che guarda all’insieme, al tutto, in un estenuante percorso circolare che rimanda al passaggio successivo ciò che sembrava ormai negoziato, deciso, firmato.

La testimonianza artistica più fulgida di questo mandala di energia generatrice è lo splendido tempio di Konark, che ho potuto visitare in un giorno di pausa. Distante soli 65 km da Bhubaneswar, è meta di pellegrinaggio induista, in occasione della festa di purificazione che si tiene tra gennaio e febbraio nella vicina spiaggia di Puri. Dichiarato Patrimonio dell’UNESCO, risale al XIII secolo, è costruito in pietra a forma di un gigantesco carro con 7 cavalli e 24 ruote di oltre 3 metri di diametro, che trasporta il dio sole Surya attraverso i cieli. A guardia dell’ingresso due leoni, rappresentati mentre abbattono un elefante da guerra. Interamente decorato con bassorilievi che inneggiano alla vita nei suoi molteplici aspetti, ispirò le parole del grande poeta TAGORE “qui il linguaggio della pietra supera il linguaggio dell’uomo “. Tra le principali figure scolpite, compaiono tre immagini del dio su tre diversi lati del tempio, posizionate nella giusta direzione per catturare i raggi del sole al mattino, a mezzogiorno e alla sera. Ma sono anche raffigurati musicisti maschili e femminili che impugnano vari strumenti musicali, divinità indù, scene di vita quotidiana, vari animali, creature mitologiche e fregi che narrano i testi indù. Include sculture e scene erotiche, figure in forme di corteggiamento, intimità e atti sessuali.

Ho conosciuto altri luoghi in India, villaggi remoti e megalopoli, ma Bhubaneswar è rimasta profondamente scolpita nella mia mente al pari delle figure del tempio di Konark. Rivivo i suoi contrasti, le contraddizioni, a volte incomprensibili per la nostra visione del mondo. Il senso dell’esistenza, gli slanci mistici, la relazione panteistica con le creature viventi animali e vegetali sono fonte inesauribile di ripensamento sugli eccessi del materialismo occidentale, oltre che una pulsione verso la ricerca di un sistema ad economia solidale. 

Forse la sintesi perfetta è il testamento spirituale del Mahatma Gandhi, la grande Anima “Non ho messaggi sociali da lasciarvi: la mia vita deve essere il mio messaggio”.

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