Lettera F Stefania - Giuseppe - Ornella - Ivano

 LABORATORIO DI SCRITTURA – LETTERA F

Autrice: Stefania BAMBACE

FUORI DALLA FINESTRA

Data: 22 Febbraio 2024

L‘insegnante continua a riempire l‘aria di parole, la lavagna di formule matematiche.

Il bambino tiene tra le mani un quaderno bianco e vuoto, e lo sguardo fisso alla finestra, tutta divisa in rettangoli e quadrati più o meno uguali, che deformano lo spazio libero all’esterno. Quale sarà mai l‘area dei rettangoli e dei quadrati che spezzettano il cielo lì fuori, come si misurano i loro angoli? 

Che importanza ha, ora che é arrivato un merlo a posarsi sul ramo dell‘albero di fronte. Intona un canto armonioso che rapisce, copre la voce fredda dell’insegnante.

E la melodia apre la finestra ed i muri cadono e l‘aula scompare ed il bambino vola fuori, assaggia le nuvole che sanno di panna e nuota nel cielo che é azzurro come il mare delle vacanze.

All‘ora del tramonto l‘artista resta in silenzio seduto alla finestra. L’ apogeo del suo lavoro é tutto qui, in questo magico istante.

Nel contorno disegnato dalla finestra ha intrappolato la vastità del reale per piegarla alla sua fantasia, creando un cunicolo che lasci filtrare lo spazio esteriore nel suo personale spazio interiore. Così il pittore corre al pennello, lo scrittore al taccuino, il poeta alla punta della penna, a riprodurre tutto ciò che il riflesso sul vetro ha saputo raccontare. La famiglia riunita a cena conta le luci accese delle finestre di fronte e ciascun membro immagina fra sé e sé le vite segrete dietro a finestre aperte, chiuse, protette da tende di diversa fattura. Con curiosità infantile ognuno si improvvisa regista di storie inventate mentre con irriverenza taciuta prende le misure a sagome ed ombre in movimento dentro macchie illuminate sulla facciata del palazzo.

Le finestre del convento sono alte, una grata difende la sacralità del silenzio dal chiasso scomposto del mondo. Suor Maria vive lì da quando era un fiore di bellezza e gioventù e forse non sa nemmeno quanto nel frattempo la sua pelle si sia avvizzita o forse semplicemente non le importa. Quando i suoi occhi si perdono oltre la grata inondati da un fascio di luce le svelano un assaggio di quell‘altrove di perfetta armonia che verrà e a quella visione sorridono.

Contemplare la bellezza del creato é una carezza ai sensi che va ben oltre il piacere estetico quando si immagina il disegno del Creatore. Fuori dalla finestra del convento l‘universo si mostra in tutto il suo sfavillante splendore ma al di qua della grata domina uno spazio misterioso ed incomprensibile a chi non lo ha scelto. Sofia ha dodici anni. 

Riempie di merendine i suoi vuoti esistenziali mentre osserva la vita che esiste fuori dalla finestra della sua stanza. Ma é un fuori troppo vuoto per il suo dentro troppo pieno. Pieno come il suo corpo che é cambiato e si é fatto ingombrante. 

Pieno come la sua mente con le parole delle canzoni e di qualche poeta studiato a scuola, pieno come il cuore con i suoi sospiri segreti trascritti nel diario. Sofia guarda fuori dalla finestra e sogna di riempire quel fuori così vuoto con tutto il pieno che ha dentro. Idealmente la finestra, da barriera tra sé e il mondo che non la vede si trasforma nel varco verso uno spazio migliore in cui anche Sofia trova il suo posto.

Ada ha serenamente accettato il prezzo del tempo della vecchiaia. Vive sola e trascorre ore ed ore alla finestra, con le immagini della vita del paese a farle compagnia. Le piace guardare i bambini che corrono e si rincorrono, ora che i suoi nipotini sono già grandi e vivono lontano, e la bella gioventù che si ritrova sempre allo stesso posto. Sì, perché la gioventù é sempre bella da guardare, anche se é tanto diversa da quella dei suoi tempi. E le immagini trasmesse dalla finestra si confondono con i ricordi, specialmente di quando da quelle fessure vedeva arrivare il suo Gino che veniva a corteggiarla. L‘auto viaggia spedita ma prudente sul manto bagnato dell’autostrada e i due fratellini siedono sui sedili posteriori. Uno é intento a contare le goccioline di pioggia che fanno la gara sul finestrino, poi perde il conto e ricomincia. La sorellina invece alita sul finestrino del lato destro appannandolo tutto e con il ditino disegna il suo mondo incantato in cui vorrebbe tanto entrare.

Il treno é affollato di studenti e pendolari. Chi é fortunato ha trovato un posto accanto al finestrino. Fuori, le linee dondolanti di un paesaggio che cambia troppo rapidamente, stazione dopo stazione,  mentre i sensi si sforzano di immortalarlo. L‘imbarco é completato, l‘aereo si alza in volo e la fila di passeggeri seduti al finestrino osserva una realtà diversa per ciascuno. Un bimbo sorvola le montagne a cavallo di un drago, una donna appoggia la testa e sospira. Riflette sulla pochezza delle distanze materiali, mentre ancora una volta la sua anima arranca a giungere a destinazione con la stessa fretta. Un ragazzo affonda lo sguardo nelle nuvole sognando di affondare tutto sé stesso nel caldo abbraccio della ragazza più bella del mondo che ha da poco lasciato dopo una memorabile vacanza. 

Un uomo preferisce la finestra del lap top che tiene sulle ginocchia e ripone lì dentro il senso della sua giornata. Il paziente é stato appena trasferito in reparto, tra odore di disinfettante, campanelli che suonano, voci, passi, porte che sbattono. Ha la mascherina dell‘ossigeno e tanti pensieri. Ma il letto é accanto alla finestra, Luigi può vedere il mare, una grande barca a vela, il luccichio del sole sulla superficie. Davanti allo spettacolo della vita un moto di commozione gli stringe il petto e sotto la mascherina sorride. Chi può conoscere i pensieri di un carcerato mentre leva lo sguardo oltre le inferriate della finestra? É un azzardo di cui nessuno ha diritto. Poi ci sono io. Al di qua delle mie finestre i davanzali sono pieni di fiori e di piante fiorite. Serve a colorare lo spazio dentro. Fuori dalla finestra il silenzioso cortile interno con gli alberi ed il prato verde e ben curato del vicino. Si sentono tante speci di uccelli cantare, si vedono simpatici scoiattoli arrampicarsi e saltare meglio di trapezisti senza rete. Come ovunque, a volte sul vetro picchietta la pioggia, a volte si infrange con veemenza la luce del sole, a volte scivola la neve e c‘é più silenzio. Oltre il giardino scorre la strada, qualche macchina, le persone. Fuori dalla finestra scorre una vita quotidiana che non mi appartiene più. Ero un vortice nel vortice, là fuori, ora il vortice mi é rimasto dentro. La finestra non é una soglia da varcare come una porta da chiudersi dietro ma é un mondo sospeso tra sogno e realtà, tra coscienza del limite ed illusione di libertà. Fuori dalla finestra ci sono i miei pensieri, le mie fotografie, ci sono le mie attese senza tempo.


CORSO DI SCRITTURA – LETTERA F

Giuseppe BAMBACE

FUJIAN PROVINCIA

Ero rientrato da appena una settimana dalla Siberia, dove avevo seguito un progetto molto impegnativo quando mi fu assegnata la direzione di due cantieri in PRC, uno dei quali era dislocato nella provincia meridionale del Fujian, distretto affacciato sullo stretto di Formosa.

Era l’estate del 1995, avevo lasciato la regione russa di Abakan sotto una nevicata copiosa, mentre il vento sferzava trasversalmente la strada, disegnando un paesaggio da Dottor Zivago. Ora Fuzhou la capitale del Fujian si presentava avvolta nella foschia di calore tropicale, l’aria quasi solida costringeva i polmoni ad un respiro più profondo e l’umidità incollava i vestiti all’adipe.

Nulla al confronto con l’emozione di cui trasudavo intimamente, ero finalmente approdato nel Paese che titillava da sempre la mia curiosità intellettuale, patria di Confucio, della medicina alternativa, del Qi Gong e di numerose altre discipline votate all’armonia interiore.

In realtà non sapevo cosa attendermi da questa provincia, immaginavo che la sua gente di mare avesse un’indole più incline alla socializzazione, rispetto a quella della grande pianura del Sichuan, dove vivevo la maggior parte del tempo della mia trasferta cinese.

Avevo letto che il Fujian era stato nominato dal governo centrale zona economica speciale, in pratica una sorta di porto franco, e che per questo sigillo riceveva investimenti massicci per incoraggiare il suo sviluppo economico e commerciale.

Probabilmente per la sua posizione geografica, separata da Taiwan solamente da uno stretto braccio di mare, ma divisa dallo spazio siderale di ideologie contrapposte. Taiwan, l’isola che per l’ortodossia maoista rappresenta ancora il rifugio dell’odiato generale della fazione nazionalista Chiang Kai-Shek sconfitto dall’esercito comunista di Mao Ze Dong al termine della sanguinosa guerra civile cinese.

Oppure perché selezionata come provincia esperimento della politica di apertura alla privatizzazione ed al mercato libero, sotto la spinta riformatrice del leader Jiang Zemin, salito ai vertici del potere del PCC all’indomani dei tragici eventi di Piazza Tienanmen del 1989, poi eletto presidente del Paese nel 1993, che di lì a pochi anni avrebbe spazzato non solo il credo maoista, ma anche molti totem della tradizione.

La prima impressione durante la sosta in hotel nella capitale, prima di proseguire il viaggio il giorno successivo, fu che il processo di riforma era ormai in fase molto avanzata, con forte deriva capitalistica ma con intense tinte di pragmatismo cinese. L’hotel ne era un esempio, nel suo pullulare di ogni attività a tempo pieno, ma organizzato con regole e tempi da cui nessun lavoratore poteva prescindere. Dal check in alla sala slot, dai ristoranti alla spa e palestra, in uno sfavillio di luci colorate un po’ kitsch. Perfino la prostituzione mascherata nella maggior parte del Paese, era elevata al rango di intrattenimento, coordinato da impiegate in impeccabile livrea e cartelletta contenente il registro delle prenotazioni, le quali accompagnavano le ragazze agghindate all’occidentale ai loro appuntamenti.

La mattina seguente, seduto su comode poltrone del treno espresso, che si arrampica nell’entroterra, lungo le gole scavate dal fiume Min per circa 200 km, osservo estasiato dall’ampio finestrino il paesaggio montuoso ricoperto di foreste lussureggianti, alternato a terrazzamenti scoscesi dove viene coltivata la pregiata qualità di tè OOlong.

Giunto a destinazione nella città di Nanping, l’esordio col cliente è superiore alle aspettative, saluto cordiale e senso di accoglienza. In serata viene celebrata l’inaugurazione del cantiere nella sala ricevimenti della fabbrica, che prevede uno spettacolo musicale del tutto inaspettato, a conclusione del quale mi viene richiesto espressamente di esibirmi con l’unica canzone italiana di loro conoscenza O’ sole Mio. La versione lirica che ne è seguita è stata accolta da calorosi applausi, evidentemente dettati da principi di indulgente educazione.

Nei giorni seguenti trovo conferma della prima impressione, mentre in Sichuan eravamo i laowai, gli stranieri in senso spregiativo, in Fujian riceviamo il saluto in inglese, misto di curiosità e denso di voglia di comunicare.

Una mattina incontrando una scolaresca elementare in gita in città, persino i bambini ci hanno apostrofato con un “Hello” gioioso.

Ma l’esperienza di cui conservo il ricordo più toccante per la sua rarità e unicità è stato l’invito dell’ingegnere capo della fabbrica a casa propria in occasione del capodanno cinese. Festa importante, in cui in qualità di ospiti d’onore siamo stati serviti di alcuni dei piatti più ricercati della tradizione culinaria. Tra le numerose portate, ricordo brodo di tartaruga, trancio di serpente alla piastra, zampe di gallina stufate insieme con altre frattaglie.

Ovviamente il progetto ha vissuto alterne fortune, ma si è giunti alla conclusione con la classica cerimonia inaugurale condita di discorsi diplomatici sulla cooperazione per ricercare i temi comuni, anziché stigmatizzare le differenze. Ma al di là delle frasi di circostanza, si era instaurato un effettivo rapporto di stima reciproca, con la sola eccezione delle autorità di polizia politica, che ci avevano cucito addosso un’interprete supplementare, estranea alle maestranze della fabbrica, che probabilmente aveva il compito di fare rapporto quotidiano ai superiori sul nostro comportamento.

Fu in occasione di un evento imprevisto, che ci guadagnammo la sua stima. Impossibilitati a tornare in Sichuan a causa di un tifone tropicale, che infuriava da giorni, le offrimmo la soluzione di spostarci insieme nella città di Xiamen 250 km a sud, per uscire dall’area interessata dal tifone e prendere il volo da quella località. Per lei ciò rappresentava un modo agevole di assolvere il suo compito di sorveglianza fino alla nostra partenza. Per noi l’occasione di trasformare un contrattempo nell’opportunità di visitare anche questa città storica del Fujian, con le sue case coloniali dell’epoca di influenza britannica, prima dello scoppio delle guerre dell’oppio, i giardini fioriti affacciati sul lungomare, il Tempio Nanputuo, uno dei più belli e densi di spiritualità, che abbia visitato tra Cina e Corea.

Non so se per aver superato il test invisibile di polizia o per il loro senso di ospitalità, durante la visita conclusiva per la firma dell’accettazione dell’impianto, ci siamo guadagnati un’incantevole giornata in battello lungo le anse del fiume Min, una dolce immersione verde, fuori dalla frenesia dell’affollata città. Lungo le rive placide abbiamo sostato nei villaggi, dove fiorivano le botteghe artigiane di lavorazione del legno, carta laccata, bambù, manufatti di ceramica e pittura su vetro. È superfluo specificare che l’esplorazione dell’artigianato locale ha contribuito notevolmente ad aumentare le dimensioni del baule da rispedire in Italia a fine progetto.

Oggi leggo che tutte le città che abbiamo frequentato in Fujian hanno conosciuto un processo inarrestabile di inurbamento e di modernizzazione forzata, che le ha trasformate in metropoli di diversi milioni di abitanti; l’osservatorio economico afferma che le imprese conoscono uno sviluppo imperioso grazie alle industrie del legname, carta, chimico, recentemente del turismo, migliorando notevolmente il reddito pro capite.

Tuttavia ascolto anche le notizie che denunciano le mire egemoniche della PRC su Taiwan, considerata parte integrante della madrepatria, alla stessa stregua di Macao e Hong Kong, pretesto per fagocitare le industrie di produzione di microchip, secondo il concetto più brutale di liberismo di stampo occidentale. Per mostrare la sua potenza, dispiega la flotta militare di stanza proprio nel Fujian, per effettuare esercitazioni nello stretto.

Quindi spengo la televisione e rimango con le mie cartoline dei ricordi, che ritraggono il saluto sorridente dei bambini, il film degli avvenimenti della vita delle persone comuni, le bellezze naturali e le splendide vestigia della spiritualità buddista.


FINESTRA

Autrice: Ornella Dansero

La finestra è un punto d'osservazione dove si possono cogliere le dinamiche della vita, sia che si guardi dall'interno verso l'esterno e viceversa. La finestra è un elemento che separa e al tempo stesso mette in comunicazione due mondi, quello di fuori, fatto di luce, aria, suoni e rumori, paesaggi urbani o naturali e quello di dentro, fatto di spazi, arredi e relazioni più intimi e protettivi. Da un lato è apertura verso il mondo, dall'altro può essere anche chiusura ed isolamento. 
La struttura stessa della finestra ricorda una cornice che racchiude delle immagini di vita. Apro la finestra al mattino, entrano la luce, il sole, un nuovo giorno si annuncia anche con i suoni e le voci che mi anticipano la vita e le relazioni.
Chiudo la finestra la sera, mi sento protetta dal mondo esterno quando lo percepisco ostile o pericoloso e ritrovo i miei spazi, la mia intimità ed il calore domestico. A volte per chi è solo o
impossibilitato a muoversi, la finestra è un'importante mezzo di relazione con l'esterno, specie se si trova ai piani bassi.
Ricordo che per alcuni anni, recandomi al lavoro, ho incontrato lo sguardo di un'anziana signora che ogni mattina, affacciata alla finestra o dietro i vetri, a seconda della stagione, guardava i passanti. A quell'ora erano molti i bambini che si recavano a scuola e forse lei li aspettava, per vederli passare e abbeverarsi di giovinezza e di speranza. Non ci siamo mai parlate, ma i nostri occhi si incontravano con un reciproco sorriso, un saluto. Io non riuscivo a passare sotto, senza alzare lo sguardo verso quel volto che sembrava aspettarmi.
La casa della mia infanzia e della mia giovinezza era situata al piano rialzato. Ed aveva una sola finestra che si affacciava alla strada, da bambina passavo molto tempo seduta sul davanzale, guardavo chi passava. A volte qualcuno passando mi diceva qualcosa o mi salutava, dei bambini della via si fermavano a parlare con me, mi divertivo a contare quante macchine passavano in una direzione o nell'altra, oppure quante dei diversi colori. 
Quella finestra era l'apertura verso il mondo, si potevano cogliere frammenti di frasi, si distinguevano i diversi tipi di passo e di andatura, a volte in estate arrivava addirittura il profumo di qualche passante o l'odore acre del sigaro del signor Ferrero che abitava nella casa accanto. 
La sera, quando più grande, tornavo da Torino, dove si svolgeva la mia vita sociale, oltre che scolastica prima e lavorativa poi, quella finestra dalla quale filtrava la luce dalle tapparelle anticipava il calore domestico che mi avrebbe accolto, il profumo della cena che mia mamma stava preparando, le voci del telegiornale che mio papà stava seguendo seduto sul divano con accanto la gatta acciambellata.
Nel riflettere su questa parola ho scoperto che suscita emozioni perché è un simbolo nel nostro immaginario. 
In quanti film, oltre al famoso“ La finestra di fronte “ questo spazio è significativo per gli aspetti che ho citato precedentemente, e spesso nei film thriller le finestre hanno dei ruoli rilevanti nello svolgersi delle vicende.
Il magico Peter Pan entrava di notte dalla finestra nella cameretta di Wendy accompagnato dal trillo della fatina Campanellina, quante volte ho letto quel libro, che ancora è presente nella mia libreria, e quante volte mi ha fatto sognare scrutando la mia finestra nella speranza di avere anche io una sua visita.
La finestra come simbolo di ponte tra dentro e fuori , tra privato e pubblico, lo ritroviamo anche in Leopardi, che, rinchiuso nel suo studio, rompe l'isolamento attraverso la finestra che gli rimanda i suoni , le voci, i colori della vita che si sta compiendo. Quando ho visitato la casa di Recanati ho
cercato di assorbire tutto quello che potevo di quel luogo, per me quasi sacro, infatti ho ancora ben chiara l'immagine dello scrittoio posto di fronte alla finestre da cui si poteva scorgere la casa di “Silvia”.
Concludo riportando una poesia di Umberto Saba
Sfuma il turchino in un azzurro tutto stelle.
Io siedo alla finestra, e guardo. 
Guardo e ascolto;
però che in questo è tutta la mia forza: guardare ed ascoltare.



FORMATO INFORMATO E SFORMATO

Autore: Ivano Mascagna
La nostra famiglia, intesa come i miei genitori, ha formato mia sorella ed il sottoscritto, all'onestà, alla lealtà, all'altruismo con tanta etica, trasmessa con il loro esempio. Anche la scuola dovrebbe formare, ma io a 13 anni, me la sono svignata. 
E per tanti anni mi sono solamente informato ”Che sta facendo la Juve?”.
Poi un giorno smisi di acquistare Tuttosport e iniziai a formarmi attraverso il volontariato. Sempre e solo minimale, esperienziale, assistenziale.  Che buffo! Quando una collega di comunità mi disse:” Tu sei un'intellettuale”. Io con la licenza effettivamente elementare, io che non so argomentare, come da par suo sa fare chi ha le scuole alte! Forse perché è l'atteggiamento che conta? 
Ho sempre cercato, nel mio piccolo, di analizzare le situazioni, le dinamiche di gruppo, i comportamenti delle persone. Comunque mi sono fermato lì. 
Tra il passare una giornata sui libri o macinare chilometri, ascoltando, parlando ho sempre preferito toccare con mano le situazioni. Facendo volontariato mi sono formato sul campo, per non parlare di 29 anni di lavoro nel sociale. Ma non sono riuscito troppo a fermarmi per poter diventare una persona
che trasmette qualcosa che forma. Troppo sintetico, molto percettivo e vagamente certo. A me non va di insaponare nessuno: non avrei potuto svolgere il lavoro del rappresentante. 
Qualche estate fa a Chialamberto feci molte domande a tre donne anzianotte con il cervello non consumato dagli anni incontrate per strada, ad un certo punto una delle tre signore mi domandò: ”Ma lei è un giornalista?”
I colti, gli istruiti, i professori citano gli studiosi, gli scrittori e gli intellettuali, io invece: l'amico, il conoscente, la persona conosciuta per caso. 
Il mio apporto è meno qualificante perché non ho studiato sui libri, ma soprattutto perché non ho scalato la montagna del sapere, ma mi sono abbeverato direttamente alla sorgente. 
A mio avviso, quando le due anime del sapere si uniscono, vengono fuori delle accoppiate vincenti. Non è casuale che una delle più complete conferenze a cui assistetti fu quella con due grandi relatori, il mitizzato Don Ciotti, con le articolate, approfondite analisi e denunce concernenti i suoi cavalli di battaglia: l'economia, la politica, la lotta alle mafie ed il fondatore di Mondo Comunità e famiglia, Bruno Volpi, che ci illustrò cosa significa fare la scelta di vivere in una comunità. Nel 1995 al Castello di Fossano, fu molto significativo il confronto tra gli operatori del sociale teorici e i componenti della comunità “Papa Giovanni XXIII “che rappresentavano “quelli che fanno” volontariamente, tanto bene alle persone. 
Non sempre si potrebbe dire la stessa cosa per chi si occupa di persone da stipendiato. 
Quando ascolto radio tre mi formo, ma se non frequento ambiti dove si cerca di cambiare il mondo, di quel sapere che me ne faccio.
Quando ascolto la cronaca delle partite di calcio, dentro ogni bar potrei conversare con gli sportivi da poltrona. Al di là di tutto quello che si possa pensare, io ogni mattina mi formo leggendo la Bibbia. E, come dice il già chiamato in causa don Ciotti, se ogni persona si occupasse del vicino di casa, il volontario formato non avrebbe modo di esistere. 
Nella riunione d'equipe mi informavo, nella supervisione mi formavo e dopo 12 ore di contatti con 10 utenti mi sformavo!. 
Ma, conoscendo il gioco del calcio dalla A alla Z da ormai
cinquant'anni, sono solo informato. E’ ovvio che sia così, ricordo un po’ di nomi, di date, di partite storiche,
mi manca la competenza tecnica di questo seguitissimo sport. E seguendo la politica e l'economia attraverso i tg o sui giornali, come potrei definirmi informato? Te lo puoi scordare con gli assaggini dei notiziari e con la lettura dei giornali tradizionali ,si potrebbe parlare addirittura di disinformazione. 
Il leader de La paranza del geco, Simone Campa, mi disse che lui con la sola licenza media, teneva incollate alle sedie 200 persone ben istruite, quando teneva lezioni teoriche sull'origine della Taranta salentina. 
I miei colleghi di cooperativa che si riqualificano come educatori erano molto limitati rispetto ai giovani laureati in Scienze dell’educazione e formazione, mancavano la struttura mentale, la preparazione scolastica e tecnologica per definirsi tali. 
Io, pulendo sederi per quasi 15 anni, ho solo potuto segnalare sul diario sanitario se le cacche degli utenti non autosufficienti. “sfornate”, erano formate , parzialmente formate o sformate.

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