Lettera T - Stefania - Giuseppe - Federico - Gabriella

 LABORATORIO DI SCRITTURA – LETTERA T

Autrice: Stefania BAMBACE
Data: 9 Novembre 2023
Buonasera a tutti, mi presento: sono il Tempo. Perdonatemi l‘invadenza ma ho ritenuto che
fosse giunta l’ora (so essere anche spiritoso, vedete?) di riportarvi alla mia nozione, che
presso voi umani mi sembra alquanto perduta. 
Se me lo permettete, comincerei con voi
parlanti di lingua italiana. Sarebbe meglio, infatti, non soffermarci su tutte le traduzioni del
mio nome o finiremmo invischiati nelle sabbie mobili delle diverse interpretazioni e non ne
usciremmo più. In quanto tempo, non vi basterei. Mi limito a darvi un piccolo esempio: le
prime discordie avrebbero già inizio con il mio genere d‘appartenenza e ciò anche solo tra
le più comuni lingue europee. Sono un essere maschile in Italia ed in Spagna, ma perché
divento una donna sul suolo germanico? E perché i francesi asseriscono la mia mascolinità
ma mi aggiungono graficamente la S del plurale? Non parliamo poi dell‘inglese, qui non è
dato capire quale sia la mia identità, probabilmente rientro nella categoria che le giovani
generazioni definirebbero “fluida“. Sorvoliamo, dunque.
Ciò che mi preme sottolineare è che, comunque vogliate chiamarmi, non mi sembra che
abbiate capito molto di me e della mia importanza. Rivendicate i vostri deliri di onnipotenza
credendo di poter fare di me ciò che più vi aggrada, in realtà mascherate una paura, anzi,
un vero e proprio terrore di perdermi o di sciuparmi. Vi siete ingegnati nel creare ogni forma
di misurazione per definirmi e contenermi, avete inventato lancette di varie fatture e
dimensioni per esprimere il mio fluire, gli orologi, un capriccio estetico od un oggetto di
lusso, un monito racchiuso in una sveglia, sopra un forno, su un telefono o perfino sull’alto
di un campanile. Il linguaggio scritto di un movimento che, mi dispiace per voi, nonostante
tutti i vostri sforzi non potete fermare. Anche se avete via via soppresso il sonoro dai vostri
strumenti, il mio ticchettio, come un metronomo, non cessa di esistere. I calendari alle pareti
o sui tavoli, nei vostri Smartphones o nelle vostre borse, sono letture difficili, mettono in
evidenza il naturale procedere delle cose e la loro finitezza. Giorni, mesi, anni, eventi,
persone....Avete con me lo stesso rapporto tossico che vivete con Madre Natura, la quale è,
per l‘appunto, mia madre, la mia generatrice.
É proprio la vostra bellissima lingua a conferirmi tale dignità: in italiano io sono anche le
stagioni, il sole e la pioggia, le nuvole ed il sereno, non ho una bellezza stabile, posso essere
bello, discreto oppure molto brutto. Magari bruttino se non mi sveglio particolarmente di
cattivo umore. Sono dunque io a segnare le stagioni, anche le vostre, cioè quelle della vostra
vita. Solo che voi non ne prendete consapevolezza, andate in confusione. Troppo spesso
invecchiate senza mai maturare davvero. O siete acerbi o siete marci, incapaci di misurarvi
con me senza subirmi. Allo stesso modo avete creato confusione stravolgendo le stagioni
atmosferiche con i vostri interventi disastrosi sull‘ecosistema. E adesso ve la prendete con
me! Ipocriti! Però siete bravissimi a ripetere i tempi del passato, soprattutto quelli macchiati
da crimini ed orrori. In questo ambito non siete confusi, siete smemorati. Eppure c‘è chi, tra
di voi, ha saputo usarmi in modo magistrale e chi ancora ci riesce.
Mi riferisco a chi sa essere in me, cioè nel tempo, anziché essere sottomesso al mio scorrere,
come uno schiavo. Chi sa riempirmi di esistenza.
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Per esempio chi sfrutta le mie potenzialità per creare capolavori musicali, chi riesce a
riempirmi per esercitare con pazienza e con tenacia il proprio talento ed esprime genialità
nelle arti e nelle scienze o bravura atletica od inventiva applicata agli ambiti più svariati del
quotidiano.
Mi gongolo quando sento: suonare, cantare, ballare a tempo, il primo ed il secondo tempo
di un film o di un’opera teatrale. O di una partita di calcio. I tempi delle prestazioni sportive.
I giusti tempi di cottura. Rispettare i tempi di parola (possibilmente anche quelli verbali, ce
n’è tanto bisogno). C‘è chi si dedica al prossimo o a nobili iniziative. Chi raccoglie i semi delle
esperienze che io spargo lungo il cammino e li lascia fiorire e fruttare. Anche prendendosi il
rischio di sbagliare semina, a volte. C’è chi decide di partecipare ad un laboratorio di
scrittura. Insomma, c‘è ancora chi sa cosa fare di me. Sono questi gli umani che mi danno
ancora speranza. Quanta tristezza, invece, nell‘osservare altre categorie di individui! Gli
incongruenti che vorrebbero dominarmi come padroni ed altro non sono che accumulatori
seriali, coloro che hanno fretta di ottenere e consumare tutto: oggetti, esperienze, persone,
sempre in affanno nella ricerca di un nuovo bottino, bisognosi di vedere confermata la loro
posizione di supremazia. E si perdono il cuore della vita. Oppure gli ossessionati del
progresso, quelli che premono costantemente sull‘acceleratore e di fatto vivono in una
perenne attesa di un indefinito che chiamano felicità, scordandosi di cercarla in quella parte
di me che si chiama presente, o più precisamente, “ogni giorno “. Poi ci sono i lamentosi,
insopportabili!! Quelli che hanno dispiegato innanzi a sé la tela della lamentazione.
Praticamente uno schermo che impedisce agli occhi di guardare oltre, al cuore di sentire
oltre, alle gambe di uscire dalla paralisi per andare oltre. E mentre loro si crogiolano nelle
loro ingiustificate litanie di autocommiserazione, io intanto passo e me ne vado...Ah, quanti
modi diversi di sprecarmi! Ma voi la ricordate quella bella canzoncina per bambini (sedicente
per bambini!) che raccontava la storia della tartaruga? Che “un tempo fu un animale che
correva a testa in giù” e solo dopo essersi schiantata contro un muro ed aver rotto qualche
dente decise di rallentare?
“La tartaruga, d‘allora in poi, lascia che a correre pensiamo solo noi “
perché quel giorno, poco più in là,
andando piano lei trovò la felicità:
che lei correndo troppo non aveva mai guardato,
La tartaruga lenta com’è
afferra al volo la fortuna quando c’è;
Cari umani, imparate la lezione della tartaruga! La sua storia, in fondo, è stata scritta proprio
da un umano di gran valore. Usatemi bene, io sono un dono, non un despota, e soprattutto,
vi prego, usatemi per amare! L’amore è l’entità più forte in grado di resistere al mio
trascorrere. Inoltre, raccontate sempre, è una sublime strategia per potermi fermare. A
questo punto mi congedo con una frase di un altro gruppo di umani di gran valore, sono
inglesi, conosciuti come Pink Floyd. Mi hanno dedicato una canzone meravigliosa ma di una
malinconia struggente. Con la loro chiusa, vi saluto:
“The time is gone, the song is over, thought I'd something more to say”
Il tempo è finito, la canzone è terminata, pensavo di avere qualcosa in più da dire...


TASHKENT

Gli anni vissuti in Paesi asiatici mi avevano insegnato molto, cucendo un fil rouge che si era mantenuto inalterato una volta rientrato alla vita ordinaria d’ufficio, tra riunioni, auto, timbrature e scrivanie. Perciò l’incarico di coordinamento di un progetto ambizioso a Tashkent capitale dell’Uzbekistan aveva risvegliato in me il senso di scoperta, di esplorazione di un Paese sconosciuto ai più all’inizio degli anni 2000. 

Di nuovo oltre gli Urali, questa volta sull’altopiano dell’Asia centrale, in un luogo di grandi suggestioni, lungo uno dei percorsi della via della seta, Paese dalla storia millenaria, terra che ha subito il giogo di dominatori brutali ma anche conosciuto la conquista di civiltà raffinate, e che a sua volta si è reso protagonista della creazione dell’impero Timuride sotto il comando di Tamerlano, signore della guerra di stirpe turco-mongola proclamatosi discendente di Gengis Khan. Un Impero che al tempo della sua massima estensione comprendeva gli Stati dell’Asia centrale, si spingeva ad ovest verso l’Iran, l’Anatolia, Aleppo e Damasco, la regione meridionale del Caucaso e parti della Russia asiatica, ad est aveva raggiunto l’India fino a Nuova Delhi. Solo la morte del condottiero impedì l’attuazione del piano di invasione della Cina, che avrebbe creato uno dei più vasti imperi dell’epoca. 

A distanza di 700 anni, l’eredità di quel coacervo di razze e culture sono i tratti somatici dei nativi, che richiamano i nomadi Mogul, la lingua di radice turca, la religione musulmana, l’arte della ceramica, dei gioielli incastonati di pietre dure, della seta, dei tappeti, degli arazzi. Peculiarità che si ritrovano tuttora in Uzbekistan, nonostante l’URSS ultimo conquistatore abbia tentato di fiaccarne l’identità attraverso la colonizzazione coatta di genti di etnia russa e nord coreana. Lo spirito nazionale è rimasto vivissimo, mantenendo la lingua tradizionale, l'architettura islamica e la religione musulmana. Tashkent, come pure Samarcanda e Bukhara riflettono questo spirito nella ricchezza delle maioliche di colore turchese di cui sono rivestite le madrase, insieme al richiamo alla preghiera dei muezzin dai minareti. 

All’epoca del mio soggiorno, tra il 2005 e 2006, Tashkent rappresentava un’oasi in cui iniziavano a spirare i venti dell’economia di mercato, governati dal rigido controllo statale di un regime totalitario. Ricordo cinque check points armati lungo i 120 km di strada che separavano la capitale dalla fabbrica, la sospensione del progetto a causa delle sommosse indipendentiste nella valle di Fergana, l’area più fertile del Paese, soffocate nel sangue. Qualunque cittadino uzbeko che avesse voluto emigrare, era soggetto alla richiesta di visto di uscita e la pratica poteva durare anni, in funzione dell’ammontare della tangente che si era disposti a pagare ai funzionari statali. Poche banche statali gestivano gli enormi proventi della produzione di gas e dell’estrazione dell’oro, una catena alberghiera di proprietà turca aveva aperto una sede per gli uomini d’affari ed i pochi turisti che potevano raggiungere l’unico aeroporto del Pese solo attraverso la compagnia di bandiera, con l’unica eccezione della linea aerea turca, sola compagnia straniera autorizzata ad atterrare. 

Il resto del Paese viveva in condizioni di estrema arretratezza, economia prevalentemente agricola, dominata dalla coltura intensiva del cotone, di cui l’Uzbekistan è oggi tra i 10 maggiori produttori al mondo. I villaggi non disponevano di acqua corrente nelle case, l’illuminazione pubblica era limitata alla strada principale. I contadini trasportavano i loro prodotti su carri primitivi dotati di ruote di legno piene, trainati da buoi, per commerciare nei variopinti mercati all’aperto, dove le donne robuste vestite con i coloratissimi abiti tradizionali e foulard che contenevano lunghe chiome corvine, cantavano i loro generosi frutti alternati a spezie dall’aroma inebriante, a frutta secca e verdure di ogni tipo.

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La stessa atmosfera chiassosa si viveva durante i banchetti organizzati dal cliente. In onore dell’ospite non potevano mancare tra le leccornie della cucina uzbeka la carne di montone stufato servito con riso, che si combinano nel piatto nazionale denominato plov e l’assoluta protagonista della fase liquida, di eredità sovietica, la versione uzbeka della vodka. Di qualità elevata grazie all’aria dell’altopiano ed alla decantata purezza dell’acqua, viene servita a temperatura ambiente prima come aperitivo, poi generosamente durante il pasto. Nonostante il tasso alcolico, ogni pasto non poteva concludersi se i commensali non congiungevano le mani sulla fronte lasciandole scivolare sulle guance fino a chiuderle sul petto, gesto rituale simbolico di ringraziamento per il cibo ricevuto. Anche nell’ambito del lavoro, ho apprezzato nei miei interlocutori grande ospitalità ed onestà intellettuale, pregi che rendevano i rapporti molto franchi ed improntati alla distensione. 

Ho letto di recente che con l’arrivo alla presidenza di Mirziyoyev nel 2016 il governo ha approvato la svolta sociale ed economica, lasciandosi alle spalle il regime autoritario, aprendosi maggiormente agli investimenti privati, sia nazionali che stranieri. Vedo immagini di Tashkent che non riconosco, una skyline di grattacieli nella zona centrale, edifici moderni e strade ampie affollate di auto e persone vestite alla moda occidentale.

Negli ultimi anni i tour operators stanno spingendo fortemente proposte di viaggi organizzati, mentre ancora nel 2006 era faticoso sbrigare la pratica per l’ottenimento del visto d’ingresso ed il controllo passaporti era molto rigoroso. 

Ho appreso dall’osservatorio economico che nel 2021 l’Uzbekistan ha incrementato il PIL del 7,4%, risultato che ha attirato ulteriore interesse degli investitori stranieri sia occidentali che cinesi. Sbalordito da cambiamenti così repentini, mi è sorto spontaneo domandarmi se gli amici di allora conservano ancora il rituale del ringraziamento prima di alzarsi da tavola.


Federico : La mia opinione sulla TAV

CORSI E RICORSI STORICI

Punto di vista sui motivi di una protesta


Fino dall'epoca più antica, i Signori, Signorotti, Re, Imperatori che volevano muovere guerra al proprio vicino dovettero inventarsi scuse e sotterfugi sempre più credibili per convincere i loro popolani ad andare a farsi massacrare per i loro interessi e per la loro gloria. Infatti nessun suddito sarebbe andato a uccidere il vicino o farsi uccidere per arricchire il signore di turno, che già lo tartassava di tasse e balzelli per poter fare la bella vita. Pertanto i signori di cui sopra, inventarono di tutto e la religione fu loro di grande aiuto, anche se non disdegnavano di utilizzare altre favole, leggende e credenze popolari a seconda delle esigenze, per mandare pacifici contadini a farsi squartare. 

Ovviamente i signori non facevano pagare le tasse soltanto ai propri sudditi, ma esigevano tributi e pedaggi anche da pellegrini, commercianti e da tutti coloro che transitavano nei loro possedimenti utilizzando le strade dell'epoca. Ovviamente quei tributi variavano in misura proporzionale all'importanza che le strade passanti nei loro territori avevano per la loro posizione, per la qualità e quantità delle merci, per lo stato di manutenzione e la sicurezza che veniva garantita anche nei confronti di eventuali assalti dei predoni, e così via. Se poi le strade erano a ridosso delle montagne, dove i valichi erano pochi e spesso difficili, facilmente interrotti per condizioni climatiche avverse, situati magari su itinerari religiosi come ad esempio le famose vie Francigene, allora le gabelle imposte potevano essere anche di una certa entità, tali da generare introiti molto consistenti e di aumentare l'agiatezza e il prestigio dei signori che controllavano quegli itinerari. 

Ma si sa che l'avidità e l'invidia dei potenti non ha limite e talvolta poteva accadere che il feudatario vicino pensasse di costruire una sua strada, rubando così una fetta di traffico e relativi introiti al primo. Questi non si lasciava certo soffiare impunemente parte dei guadagni, per cui escogitava qualunque mezzo per aizzare i sudditi a ribellarsi se non addirittura dichiarare guerra al rivale. Già, ma come convincere i propri sudditi ad andare in guerra per evitare al feudatario di perdere dei soldi? I contadini erano ignoranti, ma non così stupidi. Quindi il signorotto doveva inventarsi storie di draghi, di spiriti della montagna che sarebbero stati risvegliati dalla costruzione della nuova via, di eretici e miscredenti da scacciare, di streghe che avrebbero fatto seccare le sorgenti, e tutta una pletora di superstizioni che avrebbero facilmente fatto leva sulle semplici genti che di economia capivano soltanto quanto bastava loro per sapere di dover lavorare duramente per avere qualcosa da mettere sulla tavola. 

Per meglio convincere i sudditi dell'ineluttabilità di dover boicottare l'opera della concorrenza, capitava che i signori assoldassero imbonitori, arruffapopoli e cantastorie che conoscevano bene l'arte della retorica, i quali riuscivano a toccare le corde giuste per far scaldare gli animi. Naturalmente tutto ciò veniva fatto lontano da coloro che, maggiormente eruditi e consapevoli delle reali motivazioni, avrebbero potuto confutare le tesi strampalate elargite al popolo. 

Nel caso in cui il signorotto rivale fosse stato troppo potente o l'operazione di convincimento del popolo non fosse andata a buon fine, o ancora se per convenienza politica non fosse stato possibile o consigliabile combattere il rivale, allora si cercava di trovare una forma di alleanza con questo. Ma non tutti i signorotti erano abbastanza scaltri da conoscere il detto “se non lo puoi combattere fattelo amico”, per cui poteva capitare di ricevere solenni sconfitte. 

Bene, sono passati mille anni, il mondo ha visto enormi cambiamenti, ma siamo ancora persi entro gli stessi meccanismi. Prendiamo una valle in cui fin dai tempi più antichi sono transitati traffici di ogni genere, eserciti, pellegrini, contrabbandieri, profughi, transfughi, monaci, viandanti, turisti, commercianti, conquistatori, barbari, pirati... esageriamo: elefanti!

 Una valle talmente frequentata in ogni tempo da essere stata strategica fin dai tempi dell'Impero Romano, che vanta ben due valichi conosciuti e utilizzati fin dalla preistoria, in cui nei secoli sono state costruite fortificazioni, due strade di grande comunicazione di cui una nata per esigenze militari, una ferrovia di montagna ad aderenza artificiale utilizzante un sistema quasi unico al mondo se si eccettuano un paio di linee simili in Brasile e in Nuova Zelanda, dove fu scavato il primo tunnel ferroviario attraverso la catena alpina, perforato con tecniche innovative per l'epoca e servito per un secolo e mezzo prima di diventare completamente obsoleto. 

Orbene, in seguito all'aumentata esigenza di trasporto sia di merci che di persone e constatato che dopo decenni di utilizzo di strade e ferrovie concepite nel diciannovesimo secolo, considerando anche un periodo in cui la motorizzazione privata e il turismo erano all'apice della loro espansione, la produzione industriale necessitava di maggiori risorse per il trasporto di materie prime e prodotti finiti, si decise di costruire una strada A PAGAMENTO che secondo gli imbonitori e i signorotti di turno avrebbe portato prosperità e benessere a tutta la valle e di un tunnel adatto al transito di veicoli stradali di ogni genere. La strada fu costruita, sebbene fosse un pugno in un occhio a livello visivo e ambientale, senza nessun riguardo per l'ambiente e il paesaggio. Però con quella strada i turisti raggiungevano le località di villeggiatura d'estate come d'inverno, ben felici di pagare fior di pedaggi pur di evitare le tortuose strade preesistenti, mentre frotte di camion invasero allegramente la valle, riempiendo l'aria di quegli effluvi che solo un turbodiesel è capace di emettere. Insomma erano tutti felici e contenti: il valore delle case vacanza era aumentato, gli albergatori avevano il tutto esaurito in ogni stagione e i gabellieri del Re ricevevano emolumenti da sogno in percentuale dei pedaggi. 

Ma un brutto giorno tutta questa pacchia parve finire: a qualcuno venne in mente che quella ferrovia costruita nel lontano 1871 e ormai del tutto inadeguata e antieconomica si poteva sostituire con un tunnel di base che avrebbe permesso di rilanciare un sistema di trasporto più efficiente ed economico, eliminando gran parte del traffico stradale e del relativo inquinamento. Per contro però avrebbe tolto anche una bella fetta di gabelle ai signorotti della valle, che non ne furono per nulla contenti. Infatti alcuni vassalli a capo dei paesi più importanti erano anche membri del Consiglio dei Gabellieri, e videro la concreta possibilità di perdere parte dei loro privilegi. 

Essi corsero immediatamente ai ripari, dapprima richiedendo a gran voce opere a compensazione di presunti disagi che la nuova ferrovia avrebbe comportato, poi passando ad azioni di protesta sempre più eclatanti, fino a coinvolgere personaggi compiacenti che, in cambio di una popolarità che altrimenti non avrebbero mai avuto, si prestarono a fare da cassa di risonanza alla voce dei vassalli impauriti. Ovviamente i vassalli e i loro sodali, che nel frattempo erano cresciuti di numero, non si affidarono a ricercatori qualificati o ad esperti del settore, ma utilizzarono oscuri professori di scienze statistiche (poco più che astrologi, seppure docenti presso prestigiosi atenei), che senza l'opportunità di tenere conferenze (spesate) e scrivere libri, sarebbero rimasti anonimi professori delle “previsioni del tempo”, oppure giornalisti che nel frattempo si erano creati una certa credibilità, ma che intravidero nella possibilità di apparire (spesati) nei maggiori salotti televisivi il modo di accrescere a dismisura la loro fama e di nutrire il loro ego già smisurato. Come contropartita chiesero soltanto di poter diffondere il loro verbo in ogni dove, ma assolutamente senza possibilità di replica o contraddittorio e soprattutto senza che si venisse a sapere che nel Reame vi era un Collegio di Ingegneri Ferroviari che raccoglieva i maggiori esperti e studiosi del settore, i quali avrebbero con facilità smontato le bufale degli imbonitori, come del resto fu fatto dagli enti di tutela ambientale per smontare le ipotesi di demoni radioattivi dormienti nelle viscere della montagna, o streghe cattive che avrebbero prosciugato le sorgenti d'alta quota (tesi assai curiosa trattandosi di un tunnel di base ed essendo risaputo che l'acqua non va spontaneamente in salita). 

A questo punto anche i più ingenui tra i lettori avranno capito di cosa stiamo parlando, anche se volutamente non ho fatto nomi e cognomi ed ho utilizzato metafore per raccontare i fatti. Però a sostegno di quanto ho espresso e contrariamente ai detrattori della ferrovia che non citano mai le loro fonti, voglio citare alcuni dati facilmente verificabili e le fonti da cui sono partito per elaborare questo scritto. Iniziamo dal bilancio Sitaf, esercente l'autostrada ed il tunnel del Frejus. Tale bilancio, come da legge è pubblico e consultabile online: https://www.sitaf.it/wp-content/uploads/2020/09/bilancio-2019.pdf  Clicca

Prendo a riferimento il bilancio 2019 in quanto riassume i dati precedenti alle variazioni di traffico dovute alla pandemia Covid19 che potrebbero falsare l'andamento medio. A pagina 7 si rilevano i ricavi della gestione autostradale, principalmente i pedaggi, per un ammontare di 147 milioni e 273 mila euro. 

Ora per curiosità proviamo a dividere tale cifra per 365 che sono i giorni dell'anno. Il risultato da' 403 mila e spicci euro AL GIORNO. Ora, se voi foste i Gabellieri del Re e vassalli di qualche capoluogo, non vi roderebbe il fegato se vi dicessero che un domani dovreste dividere questo ben di Dio con le ferrovie? In che modo porre un freno a questo salasso? Ma soprattutto: come mai in altre vallate tra Italia, Svizzera ed Austria non ci sono stati moti di protesta così “vivaci” e talora violenti? 

Questa volta mi è stata di aiuto una notizia flash pubblicata a pagina 9 della rivista iTreni n° 453 dicembre 2021, in cui si legge che il Gruppo Autobrennero possiede la maggioranza delle azioni di InRail, il 95% di Rail Traction Company e il 50% di Lokomotion, tutte imprese ferroviarie che operano in concorrenza con l'autostrada. Torno quindi sul sito Sitaf per verificare se sia controllata o abbia partecipazioni in imprese ferroviarie, senza ovviamente trovare nulla. In soldoni, non potendo combattere il futuro, i bolzanini se lo sono fatto amico, mentre i nostri “galli cisalpini” continuano a combattere una guerra ormai persa.


Gabriella :  I TORET DI TORINO.

In lingua piemontese torèt significa “toretto”, cioè piccolo toro. E' la tipica fontanella pubblica di Torino, un simbolo della città e la caratteristica dell'arredo urbano. Hanno un inconfondibile tipico colore verde bottiglia e la forma di una testa di toro con le corna da cui zampilla l'acqua. Sono pronte ad offrire a tutti una sorsata d'acqua fresca e gratuita. 

La storia dei torèt dura da più di centocinquanta anni, in cui si sono susseguiti monarchie e governi. La Società SMAT ha in carico la gestione e la manutenzione di oltre 800 torèt, esattamente 813, installati nel territorio. Queste fontanelle cittadine forniscono un servizio di notevole utilità sociale, rendono infatti l'erogazione di acqua di qualità 24 ore su 24. 

In origine l'acqua che alimentava le fontane proveniva dall'acquedotto del Pian della Mussa.  L'acqua dei torèt di Torino non viene sprecata, infatti essa ritorna all'ambiente dal quale è stata prelevata (nelle falde e nei corpi idrici superficiali) con una qualità migliore. Una curiosità, tutti i torèt hanno il toro, tranne uno che ha una testa di leonessa. Si trova al Parco della Pellerina, vicino agli impianti sportivi, tra la piscina e i campi di tennis. 

Nessuno sa dire in che epoca sia stato posato. Peccato che da quella fontanella non esca acqua. Concludo con una massima: “Anche se ha le corna non è un buon motivo per tradirlo, soprattutto dopo anni di dissetante carriera”.

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