Lettera U 22 giugno 2023 - Gabriella, Stefania, Giuseppe, Federico, Livia, Celo


Gabriella  
E' NATO PRIMA L' UOVO O LA GALLINA?

L'uovo racchiude in sé la vita e la molteplicità degli esseri. Esso è la rappresentazione del seme primordiale da cui tutto ha avuto inizio.
E'anche il tema della famosa filosofia: “E' nato prima l'uovo o la gallina?”.

La migliore risposta scientifica è: “l'uovo, deposto da un uccello che non è un pollo”: L'uovo non poteva non attirare l'attenzione degli artisti entrando in alcuni capolavori della Storia dell'Arte.


Il miglior omaggio mai fatto all'uovo da un artista è il milanese Piero Manzoni, nel 1960, presso una galleria d'arte dove realizza la sua performance “CONSUMAZIONE DELL'ARTE DINAMICA DEL PUBBLICO”, invitando i presenti a mangiare delle uova sode da lui cucinate e innalzate al grado di opera d'arte, riproducendo sul guscio l'impronta del suo pollice. 
L'artista distribuisce le sue creazioni invitando a cibarsene, contribuendo così alla rigenerazione ironica che però riflette profondamente sul tema eucaristico e della resurrezione.


Uova sode, sciolte, integre, rotte, incrinate, all'occhio di bue, fritte, insomma in tutte le salse, compaiono nelle opere di Salvador Dalì. Per lui l'uovo assume un'impronta tale da adornare i tetti del suo studio in Costa Brava, in Spagna.


Uova gigantesche. La devozione, quasi ossessiva che Dalì coltivava per la forma primaria e primigenia dell'uovo è stata ritratta nella fotografia di Philippe Halsman dove Dalì è raffigurato in posizione fetale dentro l'uovo. Il fotografo:
“Lei ha scritto di avere conservato ricordi della sua vita intrauterina. Mi piacerebbe fotografarla come un embrione dentro l'uovo.”
Nel rinascimento i grandi pittori da Botticelli a Leonardo da Vinci, pare che abbiano aggiunto le proteine del tuorlo dell'uovo mescolate ai colori per
rafforzarne la tenuta e la durata nel tempo.
Agli albori della fotografia, l'albumina stesa sulle lastre di vetro veniva utilizzata come materiale sensibile alla luce.
Il gruppo musicale francese dei Rockets, famoso alla fine degli anni '70, nella
loro tournèe Galaxy del 1980, utilizzavano due gigantesche uova nella scenografia per simbolizzare la vita extraterrestre.
CHI HA INVENTATO L'UOVO DI PASQUA?
Fu il re Luigi XIV che per primo, all'inizio del '700, fece realizzare un uovo di crema di cacao al suo chocolatier di corte. L'usanza di regalare le uova di Pasqua, però è più antica, fin dall'antichità questo alimento ha rivestito un valore simbolico enorme.
L'usanza di regalarsi uova si diffonde a partire dal Medioevo, in Germania.
Qui, tra la gente comune la consuetudine era distribuire uova bollite, avvolte in foglie e fiori in modo che si colorassero naturalmente. Tra i nobili e gli
aristocratici invece, si diffuse l'abitudine di fabbricarne alcune di argento, platino, oro decorate. Se oggi nell'uovo di Pasqua troviamo una sorpresa è merito di Fabergè, il creatore delle uova Matrioska. Ma non tutti concordano.
C'è chi ricorda come già nel '700 dalle parti di Torino ci fosse infatti l'usanza di inserire un piccolo dono dentro le uova di cioccolato. Quindi se così fosse,
potrebbero essere stati proprio i piemontesi, maestri nell'arte del cioccolato, i primi a lanciare la moda delle uova pasquali con sorpresa.
Ed ora, terminiamo con alcuni aforismi
 “Andiamo al sodo,disse l'uovo mentre bolliva”.
(Gino Patroni).
- “Che cosa importa essere nati in un cortile di anatre, quando si è usciti
da un uovo di cigno?”. ( Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo).
 “Faceva così caldo che abbiamo dovuto far mangiare cubetti di ghiaccio
alle galline per evitare che ci deponessero uova sode”. (Tony Randall)
 “Le parole e le uova devono essere maneggiate con cura; una volta rotte
sono cose impossibili da riparare”. (Anne Sexton) 




Stefania   Uccelli

“Codici di geometria esistenziale “: così l‘immenso poeta e filosofo Franco Battiato definiva in una sua canzone il volo degli uccelli.
Amo quella canzone e, tra tutte le creature animali, ho una predilezione per gli uccelli.
Mi sembrano gli esseri più completi del creato.
Innanzitutto per la varietà infinita che contraddistingue la specie: basti pensare alle caratteristiche di una maestosa aquila rispetto a quelle di un umile passero. Eppure ciascuno di essi é artefice di un differente moto del cuore, un sussulto che avvicina l‘anima all‘esperienza di un miracolo.
D‘altra parte tutti gli uccelli condividono un‘arte che alla razza umana é totalmente preclusa, cioè il volo.
Il sogno di volare é un archetipo dell‘umanità, miti e leggende di ogni civiltà ci hanno regalato una vastità di racconti con figure volatili allegoriche che interpretavano l‘ambizione del viaggio umano attraverso l‘aria verso l‘infinità del cielo.

Il più noto é indubbiamente lo sfortunato volo di Icaro, colpevole di essersi abbandonato all‘ebbrezza del volo incurante del pericolo cui era stato messo in guardia, il calore del sole che avrebbe sciolto le sue ali di cera, rappresentazione simbolica del limite.

Pensiamo però anche al sogno di Leonardo da Vinci, il cui genio ingegneristico, coniugato ad una creatività senza uguali, ha prodotto il primo prototipo di aeroplano, proprio ispirandosi al volo degli uccelli.

Dunque non affermo nulla di particolarmente originale quando evidenzio il fascino che i volatili esercitano sulla mente umana da sempre. L‘uccello é il simbolo dell‘anima che tende verso l‘alto, verso l’altrove, il volo indica la comprensione delle cose segrete e delle verità metafisiche. D‘altra parte, tutta la spiritualità, indipendentemente dalla religione che la coltiva, é un elevarsi verso l‘alto, nel tentativo di superare i limiti della condizione umana.
Ancora nell’ambito delle mere arti terrene, quale letteratura non ha proposto in modo ricorrente il binomio uccello/anelito di libertà?
Meravigliose creature, gli uccelli! 
É un‘impresa riuscire a descrivere l‘estasi che mi avvolge quando li osservo.
Senza nulla togliere alla gioia che regala lo scodinzolio di un cane, l‘unico essere che ti ama  incondizionatamente, o l‘incanto che crea un balzo artistico di un delfino, il fascino misterioso esercitato da un elegante felino o il rispetto che incutono giganti atavici quali l‘elefante, il rinoceronte o l‘ippopotamo.
Inoltre anche gli insetti volano ma mi permetto di sottolineare la diversa qualità che ha ai miei occhi (e alla mia pelle) il volo di una farfalla da quello di una zanzara, o il sentimento che mi suscita il ronzìo di un‘ape in movimento da quello di una mosca. Senza pregiudizi, per carità!

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Il volo degli uccelli ha un sapore metafisico, ribadisco, loro “cambiano le prospettive al mondo “, per citare nuovamente Battiato.

In apertura del mio testo avevo accennato alla loro completezza. A loro é consentito vivere tra la terra ed il cielo, mi piace pensarli come entità deputate a coniugare queste due dimensioni. 
Traggono la loro energia nutrendosi dei prodotti della terra, abitano gli alberi, quasi fosse la loro casa l‘anello di congiunzione tra il basso e l‘alto e poi spiccano il volo verso mete a noi non consentite.

Ogni tipologia di uccello ha il suo stile di danza, lassù, e, ricorro nuovamente a Battiato, “voli imprevedibili, traiettorie impercettibili “, due aggettivi che lasciano esplodere tutta la carica semantica dei sostantivi a cui sono accoppiati, proprio come il battito delle due ali che si aprono, distaccandosi dal corpo.
La deriva tristissima dei gabbiani che goffamente cercano cibo nei bidoni della spazzatura anche delle nostre città, invece di planare con eleganza sul mare, é uno dei tanti effetti devastanti dei cambiamenti provocati dall‘intervento umano. I gabbiani, come molti altri esseri viventi, erano stati pensati diversamente in quel meraviglioso disegno della creazione. É un‘immagine che mi provoca un gran senso di malinconia....
Da amante della musica, adoro i concerti degli uccelli. É incantevole restare ad ascoltarne il mistero, i segreti racchiusi in quelle tonalità e voci cristalline a volte, stridule altre, quasi a voler gridare un importante messaggio al mondo. Nessuna musica riesce ad indurmi ad una meditazione profonda più del canto degli uccelli. In particolare, gli assoli dei merli, numerosi attorno alla mia casa e che allietano ancor più le ore del tramonto, regalandomi la perfetta compagnia ai miei pensieri serali.

Ho letto con grande interesse che “anticamente l’India, come pura l’Asia settentrionale e centrale, conosceva i culti degli uccelli, associati in genere con quelli locali delle dee madri e della fertilità “.
Un dato per me molto affascinante (anche se ora per non dilungarmi in leziosi dettagli proverò a spiegare in modo superficiale e stringato) é che nelle pratiche yoga l’equilibrio perfetto tra maschile e femminile all’interno di una stessa persona (raffigurato nel chakra del cuore) viene analogamente rappresentato dall‘oca selvatica, animale maestoso e bellissimo paragonabile al cigno, che vola sulle vette dell‘Himalaya. Il suo nome é Hamsa, in cui Ham é la componente maschile, mentre Sa é la parte femminile. Hamsa é l‘animale che rappresenta lo spirito, il respiro cosmico (si esprime infatti con il respiro) e quindi l‘anima immortale.
Questa ricerca di informazioni é stata da me avviata a seguito della lettura di “Orlando “di Virginia Woolf, un romanzo che ha segnato profondamente il mio percorso evolutivo.
Il libro termina proprio con la rivelazione al protagonista, in una sorta di momento epifanico, della sua finale acquisizione di libertà assoluta e perfetto equilibrio interiore, declamata gioiosamente alla vista dell‘oca selvatica che si libra in volo, simbolo di quella conquista.
Dunque un‘essenza libera e distaccata anche se incarnata in un corpo. Ma perché proprio l‘oca/cigno, mi sono chiesta al termine della lettura del libro.
Per la sua doppia natura animale che vive nell‘acqua e nell‘aria, sulla terra e nel cielo, e del suo comportamento migratorio, che la rende libera da ogni fissa dimora.
Eccola, la mia nostalgia di volo si trova tutta qui...
ma mentre resto a guardare ammirata i miei volatili, non disprezzo il mio legame alla terra, fintanto che avrò il privilegio dello stupore verso tutto ciò che di bello la abita, talvolta anche gran belle persone.


Giuseppe      URLO

URLO è definito come voce che mandano alcune fiere, specialmente il lupo. Per similitudine si dice anche
dell’uomo quando manda fuori la voce con tutta forza.
Manifestazione primitiva quindi, che evoca la caccia, la guerra, la vittoria e il dolore, la gioia ed il terrore. Nasce nelle viscere del nostro io più recondito e fuoriesce dalla gola, come un magma effluisce in superficie, risalendo un pozzo artesiano sospinto da vapori bollenti.
Espresso in contesti molto diversi, si evolve con il trascorrere delle stagioni della vita. Personalmente ricordo di averne utilizzato l’energia dirompente in poche selezionate occasioni, spesso associate ad eventi felici, fin dalle mie prime esuberanze infantili.
Come quando all’età di 7 anni ho discusso vivacemente col mio compagno di giochi Gigi dai rispettivi balconi di casa, a seguito della vittoria della mia squadra del cuore nell’ultima giornata di campionato, ai danni dell’eterna rivale per cui tifava lui, i condomini dei due palazzi ad assistere divertiti a quella innocente contesa nella calda serata del 1° giugno 1967.
Ho manifestato la stessa gioia in età teoricamente più matura, con la sfilata in via Roma dopo la vittoria sul
Brasile ai mondiali del 1982, terminata con il bagno nella fontana del Po in piazza CLN.
Ovviamente non solo calcio, ho urlato felice per l’esame tanto odiato finalmente superato, per un amore adolescenziale inaspettatamente ritrovato, per la nascita del fratellino e della sorellina. Ho perfino urlato in silenzio per il concerto di Pat Metheny sullo sfondo del lago d’Orta o ascoltando in cuffia Song of the Wind di Santana, anche attraversando le crete senesi accarezzate dal vento, oppure rapito dal tempio del sole di Konark al tramonto, equilibrio perfetto di amore sacro e amor profano.
Ora che vivo la fase degli altopiani della saggezza, privilegio le conversazioni pacate, intrise di umorismo,
declinate con la mediazione. In realtà mi riconosco in questa attitudine già da adolescente, quando godevo di grande popolarità tra le ragazze, confidente dei segreti di tutte, mentre altre pratiche gioiose dell’età venivano sublimate nell’amicizia.
L’urlo non mi appartiene come mezzo di conversazione, lo considero un pretesto infantile per colmare un vuoto interiore. Fanno eccezione alcuni sani momenti educativi in ambiente domestico. Quindi cerco di evitare i luoghi con una rumorosità superiore a 85 dB limite consentito in fabbrica, colonizzati dai branchi di italopitechi, specie di primati urlanti e lamentosi, sia che si tratti di luoghi reali che di becere manifestazioni tribali rappresentate nello schermo televisivo.
Forse sarà il limite dell’età anagrafica, forse il privilegio di poter sfoltire la propria rubrica telefonica, attribuisco questa scelta al senso di urgenza, che mi urla di non sprecare tempo con le situazioni infette di negatività.
Contrariamente agli stereotipi tradizionali, in cui l’uomo mediterraneo viene rappresentato incline al pianto di commozione, alle urla di disperazione, affronto gli eventi avversi con un certo pudore, vibrando di silenzio; parafrasando Woody Allen di un famoso film in bianco nero interiorizzo, mi spappolo il fegato.
Ma nel mio girovagare per Paesi lontani e spesso a contatto con realtà molto precarie, l’urlo che mi ha
frastornato profondamente è quello graffiante degli sguardi, affilati come rasoi, gravidi di significati che non necessitavano di traduzione.
Non voglio indulgere in malinconie nell’episodio finale della nostra stagione scolastica, quindi concludo con un aforisma di anonimo che ho letto recentemente sul tema: Ho cercato di presentare il quadro della situazione e ne è uscito fuori l’urlo di Munch.


Federico  ULTIMO

Forza, sbrigati, sei sempre l'ultimo! Chi non si è mai sentito dire questa frase?

Tutti noi, almeno una volta nella vita siamo stati gli ultimi a fare qualcosa:

finire di mangiare, tornare a casa dopo un pomeriggio di giochi con gli amici e chi più ne ha, più ne metta. Io stesso mi trovo qui adesso, alle 16,07 a scrivere questa pagina che dovrò leggere in pubblico tra circa un'ora a qualche chilometro di distanza da casa. Ma cosa ci posso fare, la mia vita è così piena di impegni, che il tempo – ma diciamocelo, anche la voglia – di scrivere non mi accompagna sovente. Lo devo ammettere, c'entra anche la mia pigrizia: se devo scrivere per forza, capita che mi blocco davanti ad un foglio bianco. Mi capitava anche a scuola. Stavo un'ora col naso all'aria a pensare ai fatti miei e poi buttavo giù qualcosa all'ultimo sull'argomento che mi pareva più percorribile. Ed eccomi qui anche oggi, ad essere ultimo. Ma non sempre essere ultimi è uno svantaggio, anzi, chi è troppo avanti rischia di incappare in sorprese poco piacevoli. Come nella tecnologia, dove l'ultima novità sembra sempre fantascientifica, ma poi all'esame dei fatti è quasi sempre migliorabile. L'esempio più eclatante l'ho avuto quando ho acquistato la mia ultima automobile, ormai un po' di anni fa. Volevo a tutti i costi installarvi un'autoradio con tali e tante funzioni, che sembrava un miracolo potessero stare dentro a quello scatolino di ferro e plastica. Infatti mi ha dato un sacco di problemi e mi è costata per l'epoca un bel gruzzoletto, mentre oggi quelle funzioni, come il ricevitore digitale, la lettura di file da scheda o chiavetta e la possibilità di collegare il cellulare, sono comprese e perfettamente funzionanti anche nei modelli più economici. Quindi il mio consiglio è che è meglio essere tra gli ultimi che essere troppo avanti per i tempi. Le soluzioni ben collaudate spesso sono più affidabili ed economiche dell'ULTIMA novità. Ma la pubblicità ci ha abituati a dover apparire, e quindi possedere l'ultimo modello di smartphone o l'auto full electric per alcuni più che un'utilità è uno status symbol. Poi magari l'auto elettrica prende fuoco e nemmeno i pompieri riescono a spegnerla, ma questo è un altro discorso...



Livia          Mal d'Africa

Il mal d'Africa è un male che dà grandissima gioia, allegria , speranza, come arrivare all'essenza della vita.

Andare a visitare stati come il Congo, il Kenia, la Tanzania, l'Uganda , ecc. è come fare un viaggio alla ricerca delle cose semplici e vere.

E' entusiasmante vedere tanti colori, come i colori della pelle e delle culture.

Come sarebbe bello che la parola pace Universale non sia solo un'Utopia ma vera realtà.



Celo           U di gUerra

Ubuntu versus Uroboro

Ubuntu è una parola bantu formata da ntu = persona e ubu = condizione in divenire,

si può spiegare così : un individuo si trasforma in persona attraverso i legami con la comunità e l’ambiente circostante, citando per completarne il significato l’espressione:

Umuntu ngumuntu ngabantu.

Io sono perché noi siamo.

Richiama la benevolenza verso il prossimo e l’essere umani solo attraverso l’ umanità degli altri.

Indica un rapporto armonico tra individuo comunità e ambiente, in contrasto con l’approccio eurocentrico che esalta l’individuo.

In riferimento alla parola Ubuntu, Mandela disse:

  • One word can mean so much.

Ed elenca: benevolenza, premura, disponibilità, sostegno, rispetto, fiducia, aiuto reciproco, altruismo, condivisione.

In sintesi: indica l’azione di aiutarsi e sostenersi nella consapevolezza dei propri diritti e doveri per un’unità consensuale nelle decisioni comuni.

Ecco in contrapposizione, versus l’Uroboro il serpente o drago che si morde la coda formando un cerchio, una unità primordiale, in una prigione di tempo e spazio, che rappresenta il ciclo eterno delle cose, l’ineluttabilità del fato che forse si può spezzare, pronunciando come in un mantra

Umuntu ngumuntu ngabantu

Umuntu ngumuntu ngabantu

Umuntu ngumuntu ngabantu

Umuntu ngumuntu ngabantu

E riconquistare l'umanità che c'è in noi e far cessare la GUERRA.



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